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Diventeremo EuroAfricani?

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La critica internazionale ha dimostrato di non essere in grado di provocare i cambiamenti necessari né disporre di  misure organizzative appropriate che abbiano un positivo impatto sul controllo delle frontiere o capaci di mitigare i rischi di tensioni e violenze tra i migranti e i cittadini europei.
Simmetricamente la politica dell’Unione europea non è mai stata quella di cercare di provocare il cambiamento attraverso misure coercitive che comportino un aumento delle discrimonazioni  e delle privazioni economiche delle popolazioni immigrate nel proprio territorio.  E’ consapevolezza diffusa che tale comportamento urterebbe significativamente con il progetto culturale, scientifico, filosofico e religioso di Europa.  Perché questo progetto è un fatto, non un’opinione, ha valore universale e da tutti riconosciuto come tale. Un continente forte di tale patrimonio deve prefigurare scenari coerenti ed essenziali per un’adeguata pianificazione e un’efficace elaborazione delle politiche frontaliere. Deve  gestire con criteri razionalmente evidenti il problema, senza lasciarsi coinvolgere in atteggiamenti emotivi, spesso dettati dal pregiudizio, o logorati dalla retorica da cui invece deve sottrarsi per evitare di essere governati dal panico ed essere diretti dalla paura. E’ richiesto  un grande sforzo per comprendere sino in fondo tali atteggiamenti  e applicare pervicacemente i principi fondamentali del proprio progetto culturale. Solo così è possibile raggiungere misure organizzative appropriate  per il controllo delle frontiere  e serenità interna mediante gli strumenti propri del patrimonio scientifico e culturale di cui dispone l’Unione Europea.

La questione migratoria è la più grande sfida che l’Unione Europea  è chiamata ad affrontare.   La complessità del fenomeno esige un’analisi e uno studio profondo degli avvenimenti che si sono presentati con maggiore frequenza negli ultimi anni. Questi avvenimenti hanno messo a dura prova gli ideali umanitari iscritti nelle  convenzioni internazionali, nelle costituzioni a cui le  leggi dei Paesi europei, si  richiamano. Vicende drammatiche  si sono verificate negli Stati comunitari posti ai confini con lo spazio mediterraneo e orientale, perché su questi Stati  grava l’onere di soccorrere e gestire i migranti.  Il regolamento europeo di Dublino,  la geografia  e i flussi che procedono dalle latitudini inferiori alle superiori  e da est a ovest convergono affinché  Italia, Grecia e Spagna siano impegnate a selezionare coloro che, in quanto rifugiati,  potranno insediarsi a casa loro ed espellere gli altri verso il paese di origine se il clandestino è identificato (circostanza che può rivelarsi l’equivalente della condanna a morte)o, in mancanza di identificazione,  destinarlo ad una  vita errante,  con il marchio permanente della clandestinità. L’immigrazione è un fenomeno che si mostra sempre più come normale, strutturale, costitutivo nel nostro profilo continentale per plurime ragioni e non può essere eluso. Sia da un punto di vista demografico che culturale, ma anche da un punto di vista economico considerato che la presenza di origine straniera, di regola più giovane, è un asse portante della nostra forza lavoro. L’esplosione  delle migrazioni forzate ha una primaria radice geopolitica:  la decomposizione degli Stati postcoloniali fra Medio Oriente, Africa ed Europa sud-orientale. Con l’esclusione di Etiopia, Liberia e Sudafrica, i rimanenti 51 Stati africani hanno conquistato l’indipendenza nel secondo dopoguerra; il Sud Sudan nel 2011. Un’indipendenza in alcuni casi più fittizia che reale. Senza trascurare che in molti Paesi è ancora viva e pesante la memoria del colonialismo. Questa dimensione ci aiuta meglio a capire le pulsioni migratorie e i sentimenti dell’eterogeno popolo africano verso l’Europa. Il nostro continente si è trasformato nel breve volgere di un secolo da soggetto colonizzatore in luogo agognato per  i suoi  ex colonizzati. Considerevole  è lo stock migratorio dell’Est che, dallo storico 1990 – al termine della guerra fredda e conseguente inizio  del flusso migratorio incontrollato  – è cresciuto della metà, sino a raggiungere un abitante  ogni dieci europei.

Tale flusso non desterebbe nessun allarme nei paesi in cui la mobilità sul territorio è un valore apprezzato, non così nel Vecchio  Continente, in cui si preferisce la stanzialità  e vivi sono ancora i pregiudizi radicati nella storia, pronti ad acutizzarsi  al sorgere della prima  emergenza.  Ciò accade se lo straniero è nero, musulmano o comunque proveniente da culture che facilmente sono associate alla diversità e alla minaccia.

Occuparsi e ragionare con forza analitica un tema così importante ed essenziale per L’UE  è compito che richiede impegno e capacità di analisi. Esige anche attitudine a prefigurare scenari coerenti ed essenziali per un’adeguata pianificazione e un’efficace elaborazione delle politiche. Tutto questo non può essere confinato nell’ambito di un semplice e ambizioso desiderio da ostentare.  E’ uno sforzo che dobbiamo alla nostra storia, alla nostra cultura, al nostro patrimonio di civiltà che, se non adeguatamente esercitato, macchierebbe in modo indelebile il progetto culturale, scientifico, filosofico e religioso di Europa. Perché questo progetto è un fatto, non un’opinione, ha valore  universale e da tutti riconosciuto come tale. Se un continente forte di tale patrimonio rimane sconvolto dall’arrivo di alcune  migliaia di persone, allora qualcosa di essenziale non funziona nella “culla della civiltà”. Se poi una parte importante degli europei associa i migranti ai terroristi e la maggioranza assoluta ne invoca il respingimento, significa che occorre studiare più in profondità il fenomeno per evitare di essere governati dal panico, affinché non siamo ipnotizzati dalla paura al punto da farsene dirigere.

  • Obiettivo 1.Analisi dei flussi migratori e  le ragioni della tendenza a vivere in un paese diverso da quello di nascita.
  • Obiettivo 1.1. Rilevare le direttrici di flusso Sud-Nord, Est-Ovest e Sud-Sud. Comprendere il  dramma del Sud del mondo ove si concentrano miseria, conflitti armati, traffici clandestini, epidemie e carestie. Individuare le cause della resistenza di  molti paesi europei  ad accogliere i migranti africani. Studiare i diversi  metodi e procedure  per i richiedenti asilosinora adottati dai vari stati.
  • Obiettivo 1.2. Esame dell’economia dei Paesi africani in particolare degli “Stati africani fragili”. Individuare i bacini dei migranti situati in Africa  occidentale, Centrafrica, Corno d’Africa e Levante siriano da cui partono i  corridoi meridionali dei migranti diretti prevalentemente in Europa. Tracciare una possibile interlocuzione degli organi della U.E. e dei singoli Stati.
  • Obiettivo 2.Sviluppare una nuova metodologia di ricerca sistematica che integri e compendia un’analisi complessiva delle dinamiche politiche, economiche e demografiche in atto e come l’eterogeneo mondo dei migranti possa essere accolto nel sistema economico e del welfare europeo.
  • Obiettivo 2.1.Creare indicatori per misurare quantitativamente e qualitativamente il livello di istruzione e di formazione dei migranti, molto spesso di basso livello e difficilmente assimilabili a quelli europei.
  • Obiettivo 2.2.Pensare a strutture adeguate per i più giovani migranti dell’Africa centrale, innovando i criteri di istruzione, formazione, inclusione e integrazione. Individuare e riconoscere quale tipo di contributo possono apportare alla vita sociale ed economica nell’UE;
  • Obiettivo 3.Validità della separazione delle culture e delimitazione dei confini dei rispettivi patrimoni culturali. Analisi dei  benefici per le comunità coinvolte. Migliorare gli approcci e le risposte governative alle relazioniinterpersonali fra migranti e nativi.
  • Obiettivo 3.1. Proposte per la  formazione di una società omogenea con dissolvimento  delle differenze culturali. Verifica della validità della scelta. Esame delle esperienze vissute. Preparare modelli comportamentali originali che descrivano, caratterizzino e prevedano azioni di comunità culturali omogenee  in Europa.
  • Obiettivo 3.2.Stabilire reciprocità  nei rapporti culturali, abitudini,  forme di aggregazioni miste. Stimolare la , disponibilità dei migranti  ad entrare in modi di vivere comunitari. Coinvolgimento di migranti, ricercatori migranti e rifugiati provenienti da ambienti con un background culturale del tutto diverso da quello europeo.

I flussi migratori

Nel 1964 il settimanale tedesco Der Spiegel festeggiava in copertina Armando Rodriguez de Sá, il milionesimo Gastarbeiter, accolto nella Germania Federale con una cerimonia ufficiale a Colonia e il regalo di una motocicletta. Oggi nessun governante europeo probabilmente avrebbe voglia di celebrare un immigrato straniero. Allora non fu risolto il conflitto tra il più o meno libero flusso dei capitali e delle persone e la necessità degli Stati di identificarsi con una comunità di popolo. Oggi resta il dramma del migrante, che subisce e incarna nella propria persona il conflitto fra le necessità dei ricchi paesi europei e le loro celate pulsioni razziste. Nel breve volgere di una generazione, due flussi di paura hanno attraversato il nostro continente: lo spettro dell’invasione slavo/albanese, nei primi anni Novanta e il timore della penetrazione arabo/islamica all’inizio del secolo. L’apertura delle frontiere interne (Schengen, 1995) ha contribuito a generare la reazione alla corrente crisi. Ossia le temute invasioni di orde migratorie che minaccerebbero la nostra civiltà e ci obbligherebbe ad ogni tipo di difesa. E poiché le invasioni esistono per il solo fatto che sono credute tali, si avverte l’opportunità di indagare origini, profili, conseguenze,  affinché la minaccia sia riportata nei confini dei fatti concreti e reali. Le proiezioni demografiche ci dicono che  gli attuali sette miliardi circa di persone abitano il pianeta diventeranno  almeno nove alla metà del secolo. Dal grande patrimonio migratorio e dalle sue varie tendenze, si possono isolare quattro profili:

  1. Il primo ci dice  che le persone che  vivono in un paese diverso da quello di nascita cresce sensibilmente: erano 154 milioni nel 1990, mentre nel 2013 erano divenuti  232 milioni. Nello stesso periodo i migranti sono cresciuti dal 2,9% al 3,2%. Due paesi da soli ricevevano nel 2013 un quarto dei migranti internazionali: Stati Uniti d’America e Federazione Russa.  Seguiva   la Germania,  con l’Italia all’undicesimo posto.  
  2. Il secondo riguarda i profughi, ovvero coloro che sono stati costretti a fuggire dalla terra d’origine in cerca di salvezza altrove. Nel primo decennio di questo secolo i profughi erano stimati intorno ai 40 milioni, divenuti 60 milioni del 2014, 8,3 in più rispetto all’anno precedente, cresciuti sensibilmente  nell’ultimo quinquennio soprattutto a causa dei nuovi conflitti nel Levante siriano, in Ucraina, in Nord Africa e nel Sahel. Gli apolidi sono stimati intorno ai dieci milioni.
  3. Il terzo profilo riguarda le direttrice di flusso Sud-Nord e Sud-Sud le quali rappresentano ciascuna poco più di un terzo delle migrazioni globali. Il principale paese di ricezione delle persone in fuga dalla Guerra e dall’oppressione è la Turchia (1,59 milioni), seguita da Pakistan, Libano, Iran, Etiopia e Giordania. I tre massimi produttori di profughi sono Siria (3,88 milioni), Afghanistan e Somalia.   L’Africa è, dopo l’Oceania, il continente che produce meno emigrazione, non perché scarseggino i candidati alla fuga da guerre e miseria, ma per una ragione molto triste: la carenza del denaro necessario. L’invasione dei profughi è anzitutto un dramma interno al Sud del mondo, nel quale si concentrano miseria, conflitti armati, traffici clandestini, epidemie e carestie in cui i migranti sono doppiamente vittime perché fuggono dagli incendi bellici e perché maltrattati o respinti dai paesi nei quali cercano scampo.
  4. Il quarto profilo riguarda le  migrazioni forzate per radice geopolitica: la decolonizzazione degli Stati  fra Medio Oriente, Africa ed Europa sud-orientale di cui ci siamo già occupati in precedenza.

Lo studio di questi profili aiuta  a intenderei meglio flussi verso l’Europa. La massima pressione migratoria si concentra sui crocevia fra Africa/Asia ed Europa, dallo Stretto di Gibilterra al Canale di Sicilia al fiume Evros, frontiera tra Turchia e Grecia, ove le autorità greche stanno pensando la costruzioni di muro per evitare il guado del fiume.

Se il  Mediterraneo divide il continente africano dall’Europa, l’Italia è il primo approdo per i migranti per procedere in vista del loro obiettivo privilegiato: l’Europa centro-settentrionale. Attraversando acque e terre euro-mediterranee dal 2000 a oggi almeno un milione e duecentomila «irregolari» hanno varcato le porte dell’Europa. Nelle traversate arrischiate su barche e gommoni di fortuna gestiti dai trafficanti di esseri umani sono morte nell’ultimo quindicennio almeno 25 mila persone, facendo del Mediterraneo la più grande fossa comune del pianeta. Speciale attenzione merita l’asse sud-nord che collega via Niger la Nigeria settentrionale al Fezzan libico, ove rispettivamente imperversano Boko Haram e le milizie claniche i narco-jihadisti e altri gestori del mercato delle migrazioni, dopo la caduta di Gheddafi. Siamo in pieno Sahel, baricentro continentale semiarido tra Sahara e savane meridionali, esteso da Senegal al Sudan.  La fascia forse più misera del continente, eccedente di gioventù senza orizzonti, ove la maggioranza della popolazione ha meno di 18 anni. Si è di fronte ad un serbatoio inesauribile di potenziali o effettivi  migranti, molti dei quali confluiscono verso lo hub nigeriano di Agadez, capitale informale dei traffici nordafricani, porta di ingresso  verso  il Fezzan e i porti mediterranei dell’ex Libia. E’ in questo contesto che si gioca molto del nostro futuro di europei. Siamo di fronte ad una vasta regione in rapida crescita demografica, di pari passo al complesso dei paesi africani, che nell’insieme dovrebbe  superare il miliardo e mezzo di abitanti entro il 2030 e toccare i due miliardi attorno al 2050. E i giovani di quest’area eserciteranno una notevole e incessante  pressione alle frontiere del Mediterraneo. Cosa potrà fare l’Europa?  Ragionevolmente non potrà opporre muri, filo spinato o chiudere i porti per fermare la pressione. Dovrà invece attrezzarsi per  offrire un ambiente sociale, economico e politico almeno in misura minima alle loro crescenti aspettative. Un atteggiamento e un comportamento in linea con il proprio patrimonio di civiltà.

Accoglienza – formazione- istruzione

Poiché la maggior parte dei Paesi UE racchiude in sé la duplice condizione di terra d’immigrazione e di Stato assistenziale, la combinazione si dimostra oltremodo fragile. Se il carico della solidarietà divenisse troppo gravoso a causa di una crisi economica o  progressivo invecchiamento della popolazione, si potrebbe rendere necessario una drastica riduzione delle prestazioni sociali. L’Ufficio federale tedesco per le migrazioni e i rifugiati valuta basso, o al più modesto, il livello d’istruzione di chi arriva in Germania. Molti rifugiati (76%)  non hanno una formazione professionale o titoli di studio (40%)  e questi ultimi, quando presenti, sono spesso difficilmente assimilabili agli analoghi tedeschi. Analogo discorso per la formazione professionale non paragonabile agli standard tedeschi (%5) . La stima iniziale che quantificava in sei anni il tempo necessario all’integrazione lavorativa dei rifugiati appare ai  più ottimistica. Questo è il quadro che si prospetta per i prossimi decenni. Ora se questo accade in Germania dove il livello di assistenza agli immigrati è abbastanza alto, non è difficile immaginare quel che succede altrove.  Da considerare, poi, che i rifugiati giunti dal 2015 in poi entrino in concorrenza diretta con immigrati di più lungo corso e con i nativi non specializzati per i pochi impieghi non qualificati oggi disponibili. Dall’inizio della crisi dei migranti nel 2015 innumerevoli iniziative per l’integrazione sono state intraprese a ogni livello: federale, locale, parrocchiale, rionale e scolastico. Molte attività sono state avviate su istanza delle amministrazioni pubbliche, ma non trascurabile è la quota di iniziative nate direttamente dall’impegno della società civile. Tra i progetti più popolari rientrano i corsi di lingua tedesca, l’aiuto nella ricerca di un’abitazione e la consulenza legale. Ma ciò non basta e non può bastare, occorre una prospettiva elaborata a livello europeo con uno sguardo attento alle situazioni locali e dei singoli stati. La crisi dei migranti ha cambiato la Germania che ha visto numerosi crimini con cui autorità e polizia non si misuravano da tempo.  Altri Paesi pur non protagonisti di  tali tristi avvenimenti, ne hanno condiviso i timori, in alcuni casi accrescendoli senza giustificazione alcuna. Attualmente Italia, Spagna e Grecia sono paesi di transito per i flussi migratori, ma tutti e tre possono ambire a diventare un luogo dove si  studia per poi tornare in patria. Ovvero una politica delle risorse umane del tutto nuova e innovativa. E’ possibile formare una classe intermedia di tecnici e operativi che sia utile all’Africa di domani. La formazione servirebbe a integrare la cooperazione, sia istituzionale sia delle ong, già presente nel continente con attenzione al sostenibilità. Offrendo know-how, tecnologie e modelli economici non invasivi come le PMI,  la cooperazione diverrebbe più efficace e renderebbe più forti le istituzioni statali nel continente. 

Il processo demografico

I processi demografici producono i loro effetti nel lungo periodo. Le dinamiche insite nella struttura della popolazione per classi d’età richiedono, di necessità, un cambiamento lento  e per certi versi inarrestabile. Tale situazione demografica ha prodotto nell’UE modifiche nei comportamenti familiari e riproduttivi,determinando un invecchiamento della popolazione e una forte presenza di immigrati. Le persone nate nel periodo in cui le nascite erano sostenute (dalla metà degli anni Sessanta con prosieguo nel decennio successivo) hanno oggi oltre cinquant’anni.  Il calo della fecondità ha come risultato una piramide sociale a base stretta, nonostante un’economia relativamente fiorente e un sistema di welfare tra i primi al mondo. Il costante aumento della speranza di vita alla nascita ha fatto sì che nel triennio 2015-17 tale valore abbia, mediamente tra i vari Paesi europei, raggiunto i 78,4 anni per gli uomini e gli 83,2 anni per donne. Una tendenza che, come negli altri paesi industrializzati, causa un continuo invecchiamento della popolazione. All’età di 65 anni un uomo ha una speranza di vita residua di 17,8 anni, mentre una donna di 21 anni. In particolare non c’è certezza che l’incremento degli anni trascorsi finora in buona salute possa avere analogo andamento nel futuro.  Nel triennio 2015-17 il saldo tra nascite e decessi è stato diffusamente negativo. Sono stati i flussi migratori ad assicurare un saldo complessivo molto positivo alla demografia europea.

Le dinamiche dei lavoratori migranti

Nonostante la crisi economica iniziata nel 2008, la Ue è stata in grado di attrarre nuovi lavoratori extra Ue, ma anche riuscita movimentare al suo interno  giovani lavoratori dei paesi dell’Europa del Sud afflitti da una disoccupazione elevata e persistente. Sul punto si è osservato che  prima del 2010 il saldo migratorio di greci, italiani, spagnoli e portoghesi in Germania era negativo a causa dei rientri dei Gastarbeiter, negli ultimi anni si è osservato un saldo positivo per gli immigrati di questi paesi.  Saldi migratori comunque minori se confrontati con quelli che coinvolgono cittadini di altri paesi membri dell’Unione Europea come romeni o polacchi. Per comprendere meglio il fenomeno occorre distinguere le diverse tipologie di persone con background migratorio, in particolare i profughi, i richiedenti asilo e i rifugiati; in difetto si rischia di non riconoscere la specificità e il valore di un contributo tanto eterogeneo alla vita sociale ed economica della UE, senza negare le eventuali implicazioni negative.  Anche qui merita attenzione e plauso l’iniziativa dell’Ufficio federale di statistica (Destatis) che dal 2005 ha introdotto il concetto di background migratorio (Migrationsbintergrund) che permesso di stimare in 19,3 milioni la popolazione con background migratorio su un totale di 81,7 milioni di persone residenti in famiglia (23,6%), escludendo dunque coloro che risiedono in istituti.

L’Africa è sottopopolata e non ci sarebbe bisogno di emigrare se non fosse per le guerre, le pandemie o per l’assenza di democrazia. Grave problema ambientale è la desertificazione che, come ragione per emigrare,  precede la povertà. Ma il dato più interessante sono i milioni di ettari incolti che sono oggetto delle attenzioni dei paesi extra-africano da cui il land gabbring. Questo è un dato che va studiato a fondo perché l’Africa potrebbe entrare nella globalizzazione attraverso l’agricoltura, come la Cina l’ha fatto tramite l’industria. Certamente ci vogliono know-how e risorse per la modernizzazione dell’agricoltura. Ma qui dovrebbe soccorrere la geopolitica della U.E.

Le dinamiche dei fattori sociali

Tutto lascia prevedere che i prossimi anni saranno caratterizzati da aree con bassa densità demografica minacciate da una decrescita della popolazione e centri urbani caratterizzati invece da una forte tendenza all’individualismo e all’internazionalizzazione con una popolazione spesso crescente. Una sfida che non può essere affrontata adottando soluzioni puramente demografiche, come l’aumento della natalità o dell’immigrazione. Occorre prendere in considerazione  tutti i fattori sociali ed economici, perché il cambiamento demografico produce effetti importanti sul mercato del lavoro, su quello abitativo, sui sistemi di sicurezza e di coesione sociale. E’ fenomeno in atto da tempo:  una popolazione che invecchia sposta la domanda di beni e servizi in altre direzioni e crea nuove sfide per il sistema pensionistico. Il sistema sanitario e di assistenza alle persone non autosufficienti mostra visibili sofferenze. La diversità assistenziale ad esempio, ci dice che in Italia la cura dell’anziano risulta a carico del singolo e della famiglia d’appartenenza, in Germania le famiglie possono contare su una fitta rete di case di cura. Tutto questo si traduce nel fatto di privilegiare le condizioni di vita degli individui e delle famiglie o le loro opportunità sociali, assistenziali ed economiche. Che non si debba, ad esempio pensare ad un ruolo permanente dell’istruzione e dell’investimento del capitale umano quali elementi  fondamentali  per il futuro demografico e socio-economico?  Un punto molto importante di partenza è rappresentato dalla scelta del governo federale tedesco e i governi dei Lander che dal  2012 hanno iniziato a sviluppare una strategia demografica (Demografiestrategie) che si propone di mettere insieme tutti gli aspetti del cambiamento demografico e le relative risposte politiche.

Il nuovo assetto demografico

Negli anni scorsi si è molto parlato di benchmark  Quale punto di riferimento al quale tendere ma anche per valutare le proprie azioni e i risultati prodotti. Far parte di un’Unione significa anche guardare con favore le migliori performance nei settori di riferimento. Sempre rimanendo in Germania, Destatis prevede che la popolazione tedesca conterà 82,9 milioni di abitanti nel 2030 e 76,5 milioni nel 2060, con una fecondità quasi costante a 1,5 figli per donna e una speranza di vita alla nascita di 84,7 anni per gli uomini e 88,8 anni per le donne. Il saldo migratorio scenderà a 200 mila persone entro il 2021 e che da allora in avanti rimarrà costante. Grazie all’immigrazione il decremento demografico (weniger) verrà probabilmente rimandato a dopo il 2030. Al contrario, l’aumento dell’eterogeneità (bunter) dovuto all’immigrazione e l’invecchiamento (alter= vecchiaia) sono inevitabili. La struttura per età cambierà sicuramente già nei prossimi anni: entro il 2060 la popolazione sotto i 20 anni scenderà dall’attuale 18% al 17%, quella con più di 65 anni salirà dal 21% al 31%, mentre la popolazione ultraottuagenaria passerà dal 6% al 12%. Inoltre, la popolazione attiva – solitamente individuata tra i 20 e i 64 anni – scenderà al 52%.

Il cambiamento demografico probabilmente modificherà il territorio: le città, le aree urbane, le metropoli e i piccoli centri sedi di università e forti di un’economia fiorente attrarranno sempre più persone, mentre le aree rurali e periferiche continueranno a perdere popolazione e di conseguenza la base della loro esistenza. Verosimilmente saranno i mutamenti sociali ed economici ad avere il peso maggiore nel determinare il futuro del paese; il cambiamento demografico in sé rappresenta e rappresenterà solo una sfida.

Un argomento così vasto e complesso richiede un insieme di procedure messe a punto per raggruppare dati e per misurare concetti complessi e non direttamente osservabili. Si farà ricorso ad un insieme coerente ed organico di indicatori per controllare l’effettiva sovrapposizione fra indicatori,  concetti coerenti con ogni fase della procedura. Tutti gli sforzi saranno diretti a garantire la gestione efficace del fenomeno migratorio che deve necessariamente stimolare il dialogo e la cooperazione tra i Paesi coinvolti, quindi paesi di origine, di transito e di destinazione, al fine di trovare soluzioni comuni per ogni questione ad esso collegata, vale a dire migliorare i controlli alle frontiere, garantire la protezione internazionale,contrastare l’immigrazione irregolare e sfruttare al meglio gli effetti positivi indotti dalla migrazione regolare.

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